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La giustizia feudale costituì la norma giudiziaria egemone in molte realtà territoriali dell'Italia moderna, regolando la vita dei corpi sociali a essa sottoposti dalla fine del Medioevo al Congresso di Vienna e oltre. Il volume indaga forme e pratiche della giustizia signorile all'interno di numerosi feudi dell'Italia centrale tra Cinque e Settecento. Ne emerge un quadro dai tanti chiaroscuri, dove si profilano equilibri delicati e mutevoli tra arbitrio del feudatario e statuti delle comunità, tra negoziazione e severità, tra il governo di giurisdizioni rurali o periferiche e modelli giuridici sovranazionali quali furono il feudo e lo "ius commune". Uno scenario sfrangiato e in evoluzione, emerso dalla messa a fuoco di situazioni e protagonisti e caratterizzato dalla domanda di giustizia dei vassalli e dalla determinazione dei signori a preservare la propria autonomia giudiziaria. La pratica della giustizia appare qui uniformarsi a una ricorrente clemenza, dettata da principi etici o da opportunismo politico, che accantona progressivamente il ricorso alla pena capitale, a differenza di quanto accade nella dinamica di consolidamento degli Stati assoluti e dei tentativi di disciplinamento perseguiti dalla Chiesa della Controriforma.